Vannucchi (CRIMM) ne ha parlato al convegno ON.E., le Giornate dell’ematologia e dell’oncoematologia organizzate da Koncept e Ail Firenze
FIRENZE. Il 18% dei pazienti affetti da tumori del sangue che hanno contratto il Covid è stato ricoverato in terapia intensiva e il 36% è morto. Ma la situazione, tra la prima e la seconda ondata, è andata migliorando, e oggi i vaccini garantiscono una risposta, anche laddove le terapie creano dei limiti alla capacità dell’organismo di creare anticorpi. È quanto emerge da ON.E., le Giornate dell’ematologia e dell’oncoematologia organizzate da Koncept e Ail Firenze, evento annuale per fare il punto a livello nazionale sull’ematologia, con un secondo appuntamento il prossimo 25 novembre.
Il professor Alessandro Vannucchi del CRIMM (Centro Ricerca e Innovazione delle Malattie Mieloproliferative SOD Ematologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi) ha presentato i primi risultati di uno studio, ancora in corso, condotto dall’Italian Hematology Alliance on Covid-19 che ha preso in esame 1.126 casi in 69 centri sanitari del Paese.
“Per i pazienti con neoplasie ematologiche – ha spiegato Vannucchi – il rischio di essere affetto da Covid è stato 2,2 volte superiore rispetto ai pazienti di controllo, ma di 12 volte di più per chi aveva ricevuto una diagnosi da meno 12 mesi. Questo significa che il momento più difficile è il momento iniziale quando ci sono la diagnosi e le prime terapie. Il 18% dei pazienti è stato ricoverato in terapia intensiva, in particolare si tratta dei più giovani e con limitata comorbidità. Questo dato potrebbe essere interpretato con il fatto che l’intensività delle cure è stata considerata più fattibile per i giovani piuttosto che per i pazienti in età avanzata”. Il 37% del campione è deceduto, “però tra i due picchi di pandemia la mortalità si è ridotta, quindi la gestione dei pazienti è migliorata ed è stato aggiustato il tiro della terapia intensiva”.
Dallo studio emerge anche che per i pazienti “la negativizzazione del virus è più lenta a causa della immunodepressione di base e anche lo sviluppo di anticorpi è risultato più lento”. Però i vaccini risultano efficaci, pur in misura diversa. “Un certo grado di immunità – spiega – è stato sviluppato dalla stragrande maggioranza di pazienti vaccinati, quelli con una risposta alta sono inferiori rispetto alla popolazione normale ma viene sviluppata una risposta immunitaria e questo è un risultato importante per procedere con estrema convinzione nella via della vaccinazione”. Per il futuro, conclude Vannucchi, “la pandemia ci ha lasciato degli insegnamenti importanti. In primo luogo, c’è stata una pronta risposta all’emergenza e abbiamo toccato con mano l’importanza di fare rete. Inoltre, è stata chiara l’importanza di avere una ricaduta più rapida possibile della ricerca scientifica: normalmente per avere un farmaco tumorale servono 3-5-7 anni, la pandemia ci ha mostrato che questo tempo può essere accorciato migliorando le prospettive di cura”.
Nel corso di un webinar coordinato da Fabrizio Gemmi – Coordinatore dell’Osservatorio per la Qualità ed Equità ARS, Agenzia Regionale di Sanità Toscana -, è stato fatto il punto sulle strategie da attuare, in particolare dopo il Covid, per la cura dei tumori. Il professor Gianni Amunni, direttore di Ispro, ha sottolineato l’importanza di una struttura sanitaria a Rete. “Ricerca, prevenzione e rete – ha sottolineato – sono le tre gambe della lotta al cancro e in Toscana stanno dentro lo stesso contenitore, cioè l’Ispro. La rete, visto che siamo in periodo di Europei, è stare dentro una squadra con ruoli ben precisi per andare in gol. La prima cosa è avere accessi diffusi sul territorio, poi va garantita la multidisciplinarietà e assicurati gli strumenti di lavoro in grado di avere una omogeneità dell’offerta. Altro elemento è riuscire a portare ogni caso nel posto più giusto per il problema clinico e va garantito il diritto all’innovazione”.
Anche la donazione di sangue è stata al centro dei lavori. “Il sangue è fonte di vita insostituibile, spesso si pensa che sia utilizzato solo in occasione di disastri, incidenti o traumi, invece ce n’è un bisogno costante, quotidiano e cronico ed è insostituibile: 1.750 pazienti ogni giorno sono trasfusi”, ha raccontato Gianpietro Briola, presidente nazionale di Avis, associazione che conta 1,3 milioni di donatori e copre il 70-75% di fabbisogno annuo. Per fortuna, sottolinea, “gli aspiranti donatori si mantengono costanti. Devono essere tutelati e conservati e devono sentirsi parte del sistema. Nei prossimi anni non si ridurrà la rischieta di sangue e noi dobbiamo lavorare per essere pronti”.
“Chi è vaccinato può e deve donare il sangue: stiamo andando verso l’estate e non vorremmo trovarci a inseguire i donatori sulla spiaggia. Dopo la vaccinazione c’è solo un periodo di sospensione di 48 ore, poi si può donare”, ha detto Vincenzo de Angelis, direttore del CNS – Centro nazionale sangue, smentendo le fake news secondo cui chi è vaccinato non può donare il sangue. “Nel 2020 c’è stata qualche difficoltà per il coronavirus, ma il sistema ha retto molto bene”, ha aggiunto, rilevando però che “il totale della raccolta è sufficiente ma c’è bisogno di una compensazione perché alcune regioni non riescono a essere autosufficienti. Dobbiamo cercare di arrivare anche all’autosufficienza regionale. Inoltre, dobbiamo riuscire a coinvolgere e fidelizzare maggiormente i giovani”.
A concludere la giornata anche un dibattito con il mondo delle associazioni. Hanno preso parte Massimo Marra (presidente CIDP Italia Onlus – Associazione italiana dei pazienti di neuropatie disimmuni); Sabrina Nardi (responsabile AIL Pazienti); Annalisa Scopinaro (presidente Uniamo – Federazione Italiana Malattie Rare); Alessandro Segato (presidente AIP – Associazione Immunodeficienze Primitive).